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PASSANNANTE
un film di Sergio Colabona
prodotto da Donatella Palermo
Distribuzione: MULTIPLEX
CAST TECNICO
REGIA Sergio Colabona
SOGGETTO Sergio Colabona, Massimo Russo
SCENEGGIATURA Sergio Colabona, Ulderico Pesce, Andrea Satta, Massimo Russo
FOTOGRAFIA Franco Ferrari
SCENOGRAFIA Antonio Farina, Gianmaria Cau
COSTUMI Alessandro Bentivegna
MONTAGGIO Daniele Di Maio
MUSICHE Têtes de Bois
SUONO Francesco Cavalieri
ORGANIZZATORE Gennaro Marchitelli
PRODUZIONE ESECUTIVA 13 DICEMBRE
PRODOTTO DA FarFilms
DISTRIBUZIONE EMME CINEMATOGRAFICA
DURATA 82'
CAST ARTISTICO
PASSANNANTE Fabio Troiano
PESCE Ulderico Pesce
SATTA Andrea Satta
MARCHITELLI Alberto Gimignani
MINISTRO Bebo Storti
MINISTRO Massimo Olcese
MINISTRO Nichi Giustini
MINISTRO Andrea Buscemi
AVVOCATO TARANTINI Roberto Citran
VIGNALI Ninni Bruschetta
CAMPITELLI Luca Lionello
SINDACO DI SALVIA Andrea Lolli
MAMMA PASSANNANTE Maria Letizia Gorga
REGINA MARGHERITA Veronica Gentili
RE UMBERTO I Marco Bianchi Merisi
BOSCHIERO Pietro Biondi
DIGNITARIO Jerry Mastrodomenico
COLLABORATORE MINISTRO Phino
PARRELLA Gianluca Belardi
SEGRETARIA Maria Cristina Blu
SEGRETARIA Francesca Giordani
SEGRETARIA Annalisa De Simone
SEGRETARIA Manuela Ungaro
SORELLA PASSANNANTE Timisoara Pinto
DIRETTORE CASTRATI Corrado Solari
MADRE CLANDESTINO Ciprian Maria Georgeta
SINOSSI
Novembre 1878.
Giovanni Passannante, giovane cuoco lucano, vende la propria giacchetta per otto soldi e compra un coltello, che somiglia più a un temperino, per un attentato al Re d'Italia. Gli procura solo qualche graffio, ma viene condannato a morte, poi graziato e sbattuto a marcire in una segreta sotto il livello del mare e infine imprigionato in un manicomio criminale dove morirà nel 1910.
Gli verrà negata la sepoltura e il cranio verrà esposto nel Museo Criminologico di Roma.
Da allora Passannante e la sua storia cadono nel dimenticatoio, fino a quando tre uomini testardi, idealisti e un po' incoscienti decidono di intraprendere una lunga battaglia per dare sepoltura ai resti del cuoco lucano, che erano ancora conservati nel Museo Criminologico.
Un teatrante, un giornalista e un cantante combattono la loro battaglia con tutti i mezzi: in teatro e nelle piazze davanti a gente inconsapevole e compassionevole, nei ministeri, in situazioni grottesche, davanti a funzionari inconsapevoli e indifferenti.
La missione dei tre uomini si concluderà nel maggio 2007, quando finalmente Giovanni Passannante verrà tumulato nel cimitero di Salvia di Lucania, paese che gli diede i natali e che dopo l'attentato venne ribattezzato Savoia di Lucania.
NOTE DI REGIA
Nel settembre 1999 mi capitò di leggere un articolo che parlava dei Savoia e delle polemiche sul loro possibile ritorno in Italia.
Accanto, un piccolo trafiletto dal titolo: "Il grande nemico dei Savoia aspetta di essere seppellito nel suo paese, il suo cranio e il suo cervello sono esposti al museo criminologico di Roma". E chi era questo grande nemico dei Savoia? Chi, in un momento in cui quasi tutti facevano a gara ad essere comprensivi con la ex casa regnante, osava uscire dal coro e dichiararsi apertamente nemico? E poi, perché un morto non poteva essere seppellito?
E così vengo a conoscenza di una storia emozionante, che occuperà gran parte del mio tempo per i prossimi cinque anni a venire.
La storia è quella di un perdente che, per un ideale, ha sacrificato la sua vita e ne ha pagato tutte le conseguenze. Fin qui niente di particolarmente eccezionale: la storia è piena di persone che danno la vita per un ideale. Perché allora raccontare proprio la storia di Giovanni Passannante, povero cuoco anarchico della provincia di Potenza, che attentò alla vita di Re Umberto I a Napoli nel novembre 1878?
Perché nella storia di Giovanni Passannante si intrecciano sia tante altre storie sia i destini di uomini come Pascoli e Carducci, di un giovane Cesare Lombroso e di altri uomini e donne cui l'incontro con questo piccolo uomo della Lucania cambierà la vita.
Ma Giovanni Passannante e la sua triste avventura fungeranno anche da spartiacque nella storia del nostro risorgimento perché, fino all'attentato, i Savoia avevano avuto sempre tutto dalla loro parte: fortuna, abilità diplomatica, scaltrezza tattica. In meno di quaranta anni questa piccola casata di provincia era riuscita nell'impresa, ritenuta quasi impossibile, di riunire l'Italia sotto la corona sabauda, sfidando la grande ed invincibile Austria. Eppure, da quel novembre 1878, la potenza dei Savoia, arrivata al suo culmine, comincerà una discesa lenta ed implacabile.
Questo mi ha affascinato; mi ha spinto a voler fare un film per raccontare un pezzo di storia passato inosservato ai più, eppure così importante per le conseguenze che ha prodotto.
Documentarmi per scrivere questo film non è stato facile; sono stati 5 anni di ricerche difficili per la scarsità delle fonti cui attingere. La storia ufficiale, infatti, non ama troppo i perdenti, quindi tutto quello che riguardava Passannante era sepolto sotto fitta coltre di polvere mista ad indifferenza. E proprio durante una di queste ricerche mi sono imbattuto nell'ode "A Passannante" di Giovanni Pascoli. Che il grande poeta avesse avuto un passato turbolento come militante socialista non era un segreto, la cosa invece che ho trovato interessante è che proprio a causa di questa ode il poeta fosse finito in galera, da dove uscì solo grazie all'intervento del suo maestro Carducci che chiese aiuto alla regina Margherita (sua probabile amante).
E la prima scoperta ha alimentato il circuito della curiosità per quelle successive. C'era uno spettacolo che parlava di Passannante. Sì proprio di Giovanni Passannante. Allora non ero il solo che voleva raccontare questa storia, anzi c'era già chi la raccontava. Andai a vederlo, il piccolo teatro era pieno, strapieno. Un attore in scena con tanta passione, tanta forza, tanta bravura, il suo nome: Ulderico Pesce. Ma Ulderico non era solo, aveva accanto un giornalista e un cantante, Andrea Satta. Loro lottavano per seppellirlo. Da anni senza nessun ritorno economico davano tutto loro stessi per far seppellire i resti di Giovanni che erano detenuti ed esposti in quel maledetto museo. Dopo dieci anni di lotte ci riuscirono, Passannante poteva riposare in pace.
"Il crimine più grande è negare la sepoltura" mi disse una volta Ulderico ed è come se mi aprisse gli occhi all'improvviso.
Buttai la sceneggiatura che avevo appena finito e ne scrissi un'altra di getto; dovevo, volevo raccontare Passannante anche attraverso la loro lotta. Dei piccoli grandi eroi moderni.
Sergio Colabona
VIA I SAVOIA DAL PANTHEON LO CHIEDE IL CAST DI "PASSANNANTE"
In occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia il cast del film "PASSANNANTE" e il regista Sergio Colabona lanciano la proposta di un referendum nazionale perché siano 'sloggiate' dal Pantheon le tombe dei reali in esilio. "Uomini che si sono macchiati di colpe come la firma delle leggi razziali, per non parlare dell'entrata dell'Italia in una guerra disastrosa - sostengono - non potranno mai riposare accanto ad artisti come Raffaello o Annibale Carracci o Baldassarre Peruzzi".
DA WIKIPEDIA
Giovanni Passannante (Salvia di Lucania, 19 febbraio 1849 - Montelupo Fiorentino, 14 febbraio 1910) è stato un anarchico repubblicano italiano. Fu protagonista di un attentato fallito ai danni di Umberto I di Savoia nel 1878. Condannato a morte, la pena gli fu commutata all'ergastolo. La sua prigionia fu disumana e, dopo una lunga tribolazione che lo rese completamente pazzo, fu trasferito in manicomio dove passò il resto della sua vita.
INFANZIA E FORMAZIONE
Nacque a Salvia di Lucania (oggi nota come Savoia di Lucania), da genitori poverissimi.
Le condizioni economiche molto difficili della famiglia, che lo costrinsero a lavorare fin dall'infanzia, ebbero una decisiva influenza sulla sua formazione, che fu autodidatta e basata sulla lettura della Bibbia, oltre che sugli scritti di Mazzini e Garibaldi.
Abbracciate le idee repubblicane, Giovanni frequentò circoli mazziniani e per questo venne arrestato e trattenuto in carcere per due mesi. Uscito di prigione, tornò brevemente presso la famiglia a Salvia, quindi si recò a Potenza, lavorando questa volta come cuoco. Nel 1872 si trasferì a Salerno, ove continuò a svolgere la stessa professione e si iscrisse alla locale società operaia. Grazie al suo attivismo i membri della società si moltiplicarono, passando da 80 a 200. Frattanto Passannante si orientò verso idee anarchiche. Infine si trasferì a Napoli.
L'ATTENTATO
Il 17 novembre 1878, re Umberto I di Savoia e sua moglie Margherita erano in visita a Napoli. Quando il corteo reale giunse all'altezza del Largo della Carriera Grande, Passannante si avvicinò alla carrozza del sovrano che incedeva lenta tra la folla e, simulando di voler porgere una supplica, salì sul predellino, scoprì un coltellino che teneva avvolto in uno straccio rosso e vibrò un colpo in direzione del giovane monarca.
Questi riuscì a deviare l'arma, rimanendo leggermente ferito a un braccio. L'attentatore venne afferrato dal primo ministro Benedetto Cairoli che rimase ferito da un taglio alla coscia destra. Al momento dell'attacco, Passannante gridò: "Viva Orsini, viva la repubblica universale".
Passannante, colpito con una sciabolata alla testa dal capitano dei corazzieri Stefano De Gioannini, venne tratto in arresto. Sebbene avesse concepito l'attentato ed agito da solo, fu interrogato e torturato nel tentativo di fargli confessare un'inesistente congiura.
L'attentatore aveva compiuto il suo gesto con un coltellino dala lama di 8 cm circa che, nonostante potesse rivelarsi pericoloso per la vita del re, venne definito "buono solo per sbucciare le mele", come dichiarato al processo dal proprietario del negozio ove Passannante aveva ottenuto l'arma barattandola con la sua giacca.
CONSEGUENZE POLITICHE
La notizia dell'attentato produsse in tutta Italia opposti sentimenti di indignazione, da una parte, con numerosi cortei di protesta contro il tentato regicidio, cui si contrapposero coloro che invece si opponevano al re e al governo. Il giorno successivo, a Firenze alcuni anarchici lanciarono una bomba contro un corteo: due uomini e una ragazza restarono uccisi, e più di dieci persone furono ferite. Lo stesso accadde a Pisa e la notte del 18 novembre venne assalita una caserma di Pesaro. Accanto agli attentati, si registrarono diverse manifestazioni, anche apertamente favorevoli all'attentatore.
Il poeta Giovanni Pascoli, intervenendo in una riunione di aderenti ad ambienti socialisti a Bologna, diede pubblica lettura di una sua Ode a Passannante; nonostante egli avesse poco dopo strappato il suo componimento, fu arrestato e trattenuto in prigione. Di tale ode non è rimasta traccia, se non gli ultimi due versi, tramandati oralmente: "Con la berretta del cuoco, faremo una bandiera!".
A seguito della precaria situazione nel Paese, l'11 dicembre 1878 un ordine del giorno favorevole al governo venne respinto a grande maggioranza dalle Camere e Cairoli si dimise il successivo 19.
REPRESSIONE E PERSECUZIONE
All'agitazione che scuoteva il Paese si era tentato di fare fronte con una pesante opera di repressione che investì l'intero territorio italiano: la magistratura istruì circa 140 processi contro appartenenti a circoli anarchici. L'intera famiglia dell'attentatore, composta dalla madre settantaseienne, due fratelli e tre sorelle - colpevoli solo d'essere consanguinei del Passannante - furono arrestati già il giorno dopo l'attentato e condotti nel manicomio criminale di Aversa dove furono internati fino alla morte. Solo il fratello Pasquale riuscì a fuggire.
Il sindaco di Salvia di Lucania, paese di origine di Passannante, fu costretto a recarsi al cospetto del re implorando perdono e umiliandosi al punto di offrire di mutare il nome del comune in Savoia di Lucania, nome che porta ancor oggi.
Parenti e omonimi del Passannante dovettero lasciare il paese trasferendosi nei paesi limitrofi.
PROCESSO, CONDANNA E TORTURA
Processato con un difensore d'ufficio, l'anarchico fu condannato a morte, sebbene il codice penale prevedesse la pena capitale solo in caso di morte del re e non di ferimento. Successivamente, con Regio Decreto del 29 marzo 1879, la pena gli fu comunque commutata in ergastolo, che Passannante scontò in condizioni disumane a Portoferraio, sull'isola d'Elba. Rinchiuso in una cella priva di latrina, posta sotto il livello del mare, rimase senza poter mai parlare con nessuno e visse in completo isolamento per anni tra i propri escrementi, caricato di diciotto chili di catene. Passannante era alto circa 1,60 m, la cella era alta solo 1,40 m.
"Passannante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell'acqua, e lì, sotto l'azione combinata dell'umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò … il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l'ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani … poté scorgere quest'uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell'isola udivano, e rimanevano inorriditi "
(Salvatore Merlino, "L'Italia così com'è", 1891 in "Al caffè", di Errico Malatesta, 1922)
Tali condizioni disumane di detenzione furono oggetto di una denuncia dell'on. Agostino Bertani e della giornalista Anna Maria Mozzoni, a seguito della quale il prigioniero, ormai ridotto alla follia, certificata da una perizia psichiatrica condotta dai professori Biffi e Tamburini, fu trasferito presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, ove morì.
DECAPITATO DOPO LA MORTE
Dopo la sua morte il corpo, in ossequio alle teorie lombrosiane miranti ad individuare supposte cause fisiche di "devianza", fu sottoposto ad autopsia e decapitato. Il cervello e il cranio di Passannante, assieme a suoi blocchi di appunti, studiati dai fautori della teoria eugenetica sviluppata dal criminologo Cesare Lombroso, rimasero esposti sino al 2007 presso il Museo Criminologico dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di Roma, dove si trovavano dal 1936, dopo essere stati conservati presso l'Istituto Superiore di Polizia associato al carcere giudiziario "Regina Coeli" di Roma.
La permanenza dei resti in esposizione presso il Museo ha causato proteste ed interrogazioni parlamentari. Il 23 febbraio 1999 l'allora ministro di Grazia e Giustizia, Oliviero Diliberto, firmò il nulla osta alla traslazione dei resti del Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che tuttavia avvenne solo otto anni dopo.
LA VICENDA DELLA SEPOLTURA
La sepoltura di Giovanni Passannante era prevista per il giorno 11 maggio 2007, in seguito ad una cerimonia funebre che si sarebbe dovuta tenere alle ore 11 circa del medesimo giorno nella chiesa madre di Savoia di Lucania. La sepoltura venne però effettuata senza rito funebre il giorno precedente a quello stabilito, alla sola presenza del sindaco Rosina Ricciardi, di un giornalista del quotidiano "La Nuova del Sud" e di una sottosegretaria del presidente della regione Basilicata Vito De Filippo.
La decisione fu giustificata ufficialmente con problemi di ordine pubblico; molte perplessità in merito furono tuttavia espresse da esponenti del mondo culturale e politico lucano: da parte del comitato pro-Salvia, i cui esponenti hanno per giorni condotto uno sciopero della fame affinché i resti di Passannante venissero tolti dal cimitero comunale, portati in chiesa madre per il rito funebre e successivamente nuovamente sepolti e dall'attore Ulderico Pesce.
Grazie anche all'impegno di Pesce e alla sua raccolta di firme Passannante è stato sepolto il 10 maggio del 2007, dopo 71 anni di esposizione al Museo del Crimine di Roma. Il 2 giugno dello stesso anno si è tenuta una messa in suffragio del defunto, nella chiesa madre del paesino lucano.